Frammenti di Estetica

Mercoledì 19 ottobre, presso la sala del caminetto della Biblioteca comunale Villa Urbani di Perugia, si è tenuta la presentazione del libro Frammenti di Estetica, di Aurelio Rizzacasa, curato da Telemaco Edizioni. La discussione, intima e ristretta come solitamente lo sono quelle che hanno per oggetto un testo di filosofia, si è tenuta in una cornice domestica ed accogliente: vi hanno partecipato, oltre all’autore (professore di Filosofia della Storia ed Etica delle relazioni umane presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Perugia), la sottoscritta, in qualità di responsabile editoriale e curatrice dell’edizione ed il professor Lorenzo Chiuchiù, insegnante presso l’Accademia di Lingua Italiana di Assisi, scrittore ed esperto di filosofia ed estetica.

Frammenti di estetica deriva, quanto all’origine del titolo, da un precedente studio del professor Rizzacasa (Filosofare nel frammento, edito da Aracne nel 2014): i termini in cui questa ricerca si muove sono propri delle filosofie esistenziali e si muovono da esse per approdare ad un’antropologia della finitezza e del post-metafisico, quando ci si confronta con la fine delle grandi correnti sistematiche. Lo studio analizza come esista un parallelismo fra il passaggio dai grandi sistemi dell’essere, a quelli del conoscere fino all’emergere del negativo nelle filosofie della crisi ed il percorso estetico in cui dall’estetica del bello, del sublime segue il brutto e le dissoluzioni dell’arte figurativa nell’informale e nell’astratto. Siamo dunque a riflettere sull’estetica prendendo spunto anche dall’assunto della morte dell’arte, decretata da Hegel alla fine delle sue Lezioni di estetica.

Si tratta di una analisi non sistematica, che trova nel frammento la sua cifra preponderante, frammento che rappresenta e mostra una comunanza di problemi e temi che dobbiamo ritenere universali, al di là della collocazione stilistica o cronologica. Questa riflessione, Frammenti di estetica, si impernia particolarmente sul terreno dell’arte religiosa, ambito propenso a mostrarsi quale territorio di crisi e di discussione per questa antropologia della finitezza.

Riferendoci al frammento noi possiamo interpretarlo in due modi: come parte mancante dell’intero o come cifra monadologica, con ciò intendendo il frammento come pezzo che contiene in sé l’universale. A partire da questi distinti punti d’osservazione possiamo anche analizzare la filosofia della storia e le sue epoche come una sorta di costellazioni: e allora come intendere il contemporaneo? Alla luce di una interruzione radicale, quale quella che operebbe una filosofia della frattura, dobbiamo intendere ciascuna epoca come il frutto dell’alternanza di buio e luce… finendo così in un disincanto del mondo che ci porterebbe a credere che non esistano leggi atte a spiegare la manifestazione dei fatti che informano le epoche stesse (è questo un male?!). Abbiamo di fronte due strade: una intende il post-moderno come un’assenza di unità sistematica dove mito, logos, idea del progresso, regresso… sono intesi in senso frammentario, laddove per frammento intendiamo un pezzo rotto che esprima a malapena il senso del tempo in cui è stato prodotto. La seconda strada che si apre studia il valore intensivo e rivelativo del frammento: ne fa quindi una specie di archetipo, dunque singolo ma in quanto manifestazione dell’universale.

Parlare di estetica e di arte sacra ci apre una strada alla considerazione dell’enigma che si cela dietro i due ambiti: un enigma estetico, inteso come enigma interpretativo e un enigma di tipo religioso, il mistero, il divino. Nel primo ambito possiamo distinguere l’estetico indagato dalla filosofia dall’artistico (inteso come artigianato, opera dell’artifex), nel secondo caso invece andiamo ad intendere e comprendere una possibile destrutturazione del valore del bello, che diventa a sé stante e prodotto (e qui parliamo dell’arte come Fabbrica del bello, secondo Dorfles). Quanto alla considerazione dell’enigma religioso come mistero ci troviamo ad analizzare in questa sede cosa intendere laddove si parla di mistero: non si intende l’enigma metafisico né il mistero come fonte di stupore reso (malamente) nell’equivoco latino dell’admiratio, che non va più a tradurre la meraviglia di fronte al mistero come stupore. Si tratta di una meraviglia che può essere suscitata tanto dal bello quanto dal brutto, dal grottesco… accezione che perdiamo del tutto laddove rendiamo meraviglia come admiratio (pura ammirazione).

Quale disciplina possa indagare questi interrogativi: le filosofie esistenziali, la fenomenologia, l’ermeneutica? Quest’ultima tenta di risponderci in quanto offre una prospettiva metodologica. La questione riguarda il tentativo di uscire dalla metafisica (nel cosiddetto post-metafisico) rinunciando però alla creazione di ulteriori assoluti terrestri.

Maria Rosaria Pepe

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