La storia di Acerenza si intreccia in maniera inestricabile con nobili aspirazioni di riordino e riforma dell’organizzazione territoriale e gerarchica della Chiesa Cattolica in Europa in un particolare momento storico frammentato e disarticolato esposto com’è ad influenze e contaminazioni da centri di potere diversi che Luciano D’Andria descrive nel paragrafo “Godano e la riforma” a partire da pag. 104.
Provo a proporvi una rapida riflessione per intenderci su ciò che sto tentando di dire. Se la storia vive e si alimenta di fatti documentati e di eventi che si spiegano come effetto di situazioni pregresse che ne hanno costituito i presupposti e che a loro volta determinano le condizioni di nuovi eventi che andranno a costituire nuovi scenari socio politici e civili la presenza in Acerenza di una maestosa Cattedrale di stile romanico cluniacense testimonia inequivocabilmente come nel medioevo Acerenza si sia ritagliato un ruolo importante nel travagliato processo di gestazione che dette poi luogo ad una radicale innovazione nei secoli successivi a partire dal risveglio degli studi classici ed al conseguente sviluppo delle scienze e dell’arte tanto da innescare in Italia un grande laboratorio per una nuova civiltà che poi sarà qualificata come Rinascimento.
Godano è il primo Arcivescovo Acheruntino di provenienza normanna. L’autore parla di francesizzazione del clero, un fenomeno che non può non essere letto come nesso relazionale che collega in quel momento funzionalmente Acerenza all’Europa.
La riforma. Di quale riforma parla Luciano? Si tratta della cosiddetta riforma cluniacense che prese le mosse dalla rivolta dei Patari a Milano (intorno al 1050) evento che testimonia la base popolare di quel movimento che sarà poi, sostenuto da un’ampia rete di monasteri benedettini, e che troverà compiuta formalizzazione poi nella cosiddetta riforma gregoriana e che darà luogo sul piano socio-politico alla lotta per le investiture.
Non è il caso adesso di approfondire questo tema a noi serve qui soltanto chiarire cosa c’entra Acerenza con tutto questo. C’entra perché l’aspetto spirituale di questa riforma è chiaramente delineato nel cosiddetto privilegio di Arnaldo che Alessandro II (1067) indirizza all’Arcivescovo Arnaldo di Acerenza. La bolla è riportata integralmente a pag. 111 del libro che stasera vi proponiamo. Il papa delinea il profilo del vescovo come figura centrale nella Chiesa riformata.
“Ti esortiamo affinché il tuo amore per la Chiesa, il tuo stile di vita sia di esempio per le tue comunità. La tua vita sia assunta come regola per i tuoi figli perché essi orientino il cuore alla fortezza e magnanimità dello spirito. Né lo smodato desiderio di ricchezza né la cura delle cose temporali blandisca e distragga il tuo cuore dalla cura pastorale. Non lasciarti distogliere dalle avversità ma tutto sia vissuto nella purezza del cuore e nell’esercizio delle virtù. Non trovi spazio nel tuo cuore alcun sentimento di odio né alcun favoritismo interessato. La tua sacra benedizione sia elargita a tutti senza che alcun interesse venale la contamini. Sia in te la dolcezza del buon Pastore. Evita il male nella tua vita e in quella dei tuoi figli con giudizi di severo discernimento, ma favorisci lo sviluppo e la crescita delle relazioni feconde, pulite e innocenti. Opponi con modesta fermezza le ragione della fede alla logica degli oppressori. … Scegli la carità come tua maestra di vita e non ti allontanerai dalla retta via”.
Questi criteri di comportamento proposti da Alessandro II ad Arnaldo trovano puntuale riscontro nelle decisioni prese nei Concilii di Melfi a testimoniare il proficuo lavoro pastorale già svolto dal predecessore Godano e degli altri vescovi riformati nel mezzogiorno d ‘Italia, ma quando Ildebrando di Soana ispiratore e promotore della riforma cluniacense diventerà a sua volta Papa con il nome di Gregorio VII egli imporrà alla Chiesa universale questi criteri nel tentativo di arginare ogni ingerenza dell’imperatore nel governo della Chiesa a partire dalla nomina dei vescovi conti perché la loro attività di funzionari imperiali non li distolga dalla più importante ed essenziale funzione pastorale che si incentra nella cura d’anime.
Enrico IV che non ha ancora smaltito il livore per l’umiliazione di Canossa marcia su Roma con un potente esercito. Gregorio chiese aiuto al normanno Roberto il Guiscardo che approfitta della situazione favorevole per dare il benservito sia all’imperatore che al Papa mettendo a ferro e fuoco Roma e conducendo in esilio a Salerno il Papa.
A Salerno viene posta dunque la pietra tombale sia del movimento cluniacense che della riforma gregoriana e a nulla servirà ormai l’auspicio che Gregorio VII lascia come testamento a sostegno della vagheggiata chiesa riformata cioè l’organizzazione di una milizia Christi interna alla chiesa per difenderla dalle ingerenze del potere temporale.
Il definitivo abbandono dell’ambizioso progetto di Gregorio VII determinerà il declino della influenza normanna, l’organizzazione di un potente esercito incentrato sulla nuova figura del monaco soldato, aprirà l’era dei templari, il progetto delle crociate, il rilancio del potere temporale dei papi, l’affermazione degli svevi, la contrapposizione delle fazioni dei Guelfi a sostegno della politica papale e dei Ghibellini che favorirà l’ascesa di Federico II. Il ruolo di Acerenza in questa congerie di situazioni sarà ridimensionato a favore dell’abbazia di Banzi e poi di Venosa dove saranno poste le fondamenta di una nuova cattedrale sulla stessa pianta della Basilica di Acerenza ma più grande e più fastosa a segnalare il rilancio del ruolo della Chiesa latina nell’organizzazione e gestione del territorio con il definitivo abbandono del grande progetto di riforma in senso spirituale di Ildebrando di Soana. Istanza che sarà ripresa senza molta fortuna dai monasteri florensi di Gioacchino da Fiore che avrà come riferimento politico la corte della regina Giovanna a Palermo e coverà come fuoco vivo sotto la cenere e divamperà dopo alcuni secoli con le famose tesi di Lutero.
Ogni tensione di riforma soffocata dalla prepotenza delle armi, non muore, ha bisogno di tempo. Il tempo è la materia prima con cui si fa la storia. E se è vero che la storia la scrivono i vincitori è altrettanto vero che le pietre miliari che segnano il cammino dell’uomo nel tempo ci parlano del sacrificio dei vinti. “E tu onor di pianto Ettore avrai …”; si perché se il sole continua a splendere sulle sciagure umane lo dobbiamo al sacrificio dei perdenti che ci hanno lasciato un ricchissimo patrimonio di valori civili.
Qui ci basti dire, per chiudere, che il lavoro di Luciano D’Andria costituisce un prezioso contributo di risistemazione scientifica della nostra memoria e delle tracce del nostro DNA.
Telemaco Edizioni è molto attiva su questi temi. Sabato 22 presenteremo un breve saggio del dott. Angelo Schiavone da Bari che muovendosi nella cornice della riforma luterana racconta di un brillante medico pugliese che in epoca rinascimentale incappa nella rete dell’Inquisizione e viene prima annegato nel Tevere e poi bruciato.
Sono stati già in catalogo un romanzo dal titolo “Il vecchio e la luna” del Diacono Nino Di Bari che vede come protagonista il papa buono, Giovanni XXIII nello scenario del Concilio Vaticano II, e “io lutero” dello stesso autore, un saggio dal sapore amaro e sofferto ma mitigato dalla misericordia e dalla incondizionata fedeltà alla Chiesa di Cristo.
Donato Pepe