La cetonia sul cardo di Domenico Gilio (Marino Faggella)

    
                                                             Copertina di Susanna Rossi Esser

1. Domenico Gilio, ci ha mandato cortesemente la seconda edizione del suo libro di poesie La cetonia sul cardo, accompagnandolo con una breve e graditissima dedica scritta che termina con queste parole: “mi permetto di inviarle il presente testo, pubblicato in onore di Acerenza, mio paese di origine. Ringraziandola dell’attenzione che vorrà dedicare al minuscolo scarabeo della mia infanzia, voglia gradire i miei sentimenti di affetto e stima”.
Nella lettera-prefazione al lettore egli si è preoccupato di chiarire così il titolo e il contenuto del suo libro: Caro lettore, torna arricchita di forza simbolica “La cetonia sul cardo”. Mi dà piacere ancora oggi, nel ricordo, inseguirla come minuscolo aquilone della mia infanzia, mentre si alza in brevi voli. Mi sorprende vederla, gemma smeraldina, sul cuscino vellutato del cardo. Da queste emozioni sbocciano idee e domande sul senso delle cose. Il coleottero verde oro mi porta per incanto nell’ambiente della cultura contadina, nelle piazze gremite di gente, lungo il corso o su un belvedere del Borgo e nelle campagne che si distendono a valle, fino a perdersi all’orizzonte. La poesia coglie ciò che di più caro nella memoria e di più vero rimane di questi momenti, come in una fiaba, oltre il logorio del tempo.
Sono qui rappresentati in breve alcuni dei temi essenziali che da sempre e dovunque i poeti lirici hanno cantato nel corso della storia col proposito di trasferire nell’anima dei lettori le loro emozioni, scaturite da sentimenti naturali e direi eterni che hanno la vita degli uomini: l’amore per la propria terra, la profondità dei legami affettivi e familiari, gli opposti della vita e della morte, il brivido di piacere che emana la contemplazione della natura che sa lenire il dolore umano riportando indietro l’anima a dissetarsi nel paradiso della fanciullezza.
2.   Ci si chiede giustamente a questo punto quale sia la posizione del poeta rispetto al mondo rappresentato nei suoi versi:”Qual è la dimensione dell’uomo in questa poesia? Egli si trova immerso in un microcosmo, in un paesello, microcosmo lui stesso, piccola tessera di un grandioso mosaico cui è armoniosamente e misteriosamente collegato. Il luogo ha un nome preciso:Acerenza, paese in cui il poeta è nato e dove si trovano le radici della sua infanzia contadina. Da quell’incanto naturalistico, egli non si è mai distaccato. Se l’è portato dietro nelle varie vicissitudini della vita”(Campegiani).
 La poesia di Gilio nasce allora dal bisogno memoriale di attingere innazitutto ai ricordi che in qualche modo lo inducono a ripercorrere a ritroso il tempo per recuperare frammenti della sua vita scorsa in grado di riempire il vuoto che si è generato quando, rotto per necessità il legame che lo legava al suo paese, egli è andato alla ricerca di una vita non sua: “Nostra ferace terra, ci fai proni/al bisogno di crescere/o morire/ma poi non ci abbandoni./Tu che ci dai il pane della tavola,/ ci serbi la parola, primo bene;/e la memoria, luce che ritorna…”.
Per questo, come giustamente asserisce Aniello Ertico in una delle note critiche che accompagnano la stampa del volume:”Nella pubblicazione di Domenico Gilio è frequente il ricorso alla terra natia. Le suggestioni di un amore. Ed il suo amore per Acerrenza è un amore battezzato, eterno perché di nascita, quindi originario e filiale direi, ma è anche innamoramento dell’età matura, che si afferma con la presenza scelta e non più con la nascita imposta. Nessuno sceglie dove nascere. Si sceglie però dove tornare, dove eleggere il domicilio della propria anima.” Basterebbe solo questo per includere il nostro autore nella schiera ristretta dei poeti. Ma a Gilio non basta solo affidarsi al demone della nostalgia per comporre in immagini i frammenti di un mondo perduto: “lucciole e torrenti, papaveri e covoni annegati nell’azzurro, cicale e girasoli ebbri di luce”.
3. La poesia di Gilio è anche intrisa di pensiero, nasce cioè dal bisogno di dare un senso e una risposta come dice il poeta a quelle “domande sul senso delle cose”, ai soliti interrogativi dell’uomo che rimane spesso senza parole di fronte ai misteri della vita e del mondo naturale, per cui anche innanzi al grandissimo miracolo della Creazione nasce un interrogativo inquietante:”Io ho conosciuto il male/e il perché non comprendo”. Non per questo, però, egli si può qualificare come appartenente alla ridotta schiera dei poeti metafisici, sul modello lucreziano o leopardiano. La sua poesia, pur non disponendo di un forte sostegno filosofico che lo spingerebbe sui difficili sentieri della ricerca di pensiero è comunque di tipo speculativo, non fosse altro perché si interroga innazitutto sulle complesse ragioni della vita dell’uomo in rapporto al resto dell’universo animato.
La verifica nasce, come suggerisce Onorati dalla lettura di alcuni versi-chiave di grande potenza espressiva che con l’introduzione della nota speculativa sembrano completare o discostarsi dalla consueta “cifra ordinale” e memoriale della raccolta: “Primavera immemore/senza rondini torna”; “Non c’è un’arca che salva/nell’assiduo momento che oltrepassa:/tutto è un baleno in mezzo al temporale”; “E la preghiera/reificato soffio/su morte foglie cade”; “Fiori rossi di prati e di leggenda”; “Il rischio e la domanda/inascoltata/sul perché del tutto”, ecc.
Se consideriamo, inoltre, che il ritmo dei versi che il poeta allestisce con evidente competenza tecnica, l’ordine delle parole e la loro disposizione nel verso non si sovrappone mai come un abito ripreso dal guardaroba dell’eloquenza, ma, componendo in modo armonico il pensiero con la scelta verbale, da origine ad uno stile veramente originale e personale che è la miglior qualifica di un vero poeta di razza. Ad una prima lettura delle liriche raccolte nel libro ci colpisce subito il fatto che la parola utilizzata da Gilio non è solo ben scelta ed appropriata – il significante aderisce sempre al significato – ma anche di facile comunicazione, per cui la semplicità risulta essere una cifra caratterizzante della sua poesia.
Con questo non si vuol dire che il poeta debba appartenere di necessità alla schiera degli autori naif – cosa che sarebbe già un notevole pregio rispetto a tanta lirica contemporanea assolutamente criptica ed in alcuni casi volutamente incomprensibile -, ma dopo una lettura più attenta ci accorgiamo sorprendentemente che la sua semplicità non è solo frutto di spontanea naturalità. Al contrario, il dettato facile che è la cifra iniziale di queste liriche non riesce a celare l’attenzione amorevole e lo studio profondo che è sotteso ad esse.
In verità, dietro l’apparente spontaneità di questi versi ci sembra che nessuna parte di essi, parole o ritmi, sia composta a caso come dimostra l’innegabile conoscenza della metrica da parte del suo autore, il quale maneggia con padronanza e maestria tecnica  l’armamentario retorico della lirica contemporanea. Pertanto, la ricerca metrica di un poeta come Gilio, che fa tutt’uno con la sua ricerca esistenziale di una ragione di vita, risulta evidente soprattutto nella scelta consapevole dei versi che appartengono alla nostra tradizione, sia antica che recente, come il verso libero, la struttura metrica più  utilizzata dai poeti contemporanei che Gilio maneggia con grande abilità. Ma egli sa anche creare sapienti intrecci sonori con l’alternanza del quinario e del settenario, a minore, con l’endecasillabo, il verso più discorsivo della nostra tradizione lirica, col quale egli riesce ad alleggerire il tecnicismo degli altri metri, che sarebbe in alcuni casi troppo invadente, col riuscito risultato di una finale un’armonia discorde.       

                                          Nota biografica

Domenico Gilio, originario di Acerenza (Pz), vive da molti anni ai Castelli Romani. Pedagogista, ha compiuto la carriera di Insegnante, Direttore Didattico e Ispettore Tecnico del Ministero della Pubblica Istruzione. Oltre l’intensa attività professionale, ha curato sempre con passione le Lettere, in particolare la Poesia, intesa come mezzo e fine di ricerca e di ricostruzione di senso e riscoperta della dimensione interiore, più autentica dell’uomo. Sue opere edite sono: Tenere Corrispondenze; Il tempo e le Parole; Polvere Rossa; Pagine Acheruntine; La Cetonia sul Cardo; Parole al Tempio,per le quali  ha raccolto significativi riconoscimenti della critica, risultando inoltre vincitore in diversi concorsi nazionali ed internazionali.  

Marino Faggella

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